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Elezioni USA 2012, green economy: Obama e Romney giocano anche sull’energia pulita

Daniele Sforza

Elezioni USA 2012, green economy: Obama e Romney giocano anche sull’energia pulita

In tempo di elezioni presidenziali, il terreno è sconfinato e più largo di qualsiasi campo di calcio, rugby o stadio olimpico, non ci sono poi così tante regole da rispettare, e quando la partita inizia si sa solo che ha una fine, il giorno delle elezioni. Per il resto, tutto è sfruttabile.

Obama e Romney corrono sul filo di lana, ma il primo è dato in largo vantaggio rispetto al secondo secondo sondaggi più o meno affidabili. Uno dei punti chiave che contribuirà alla rielezione di Obama o alla vittoria repubblicana, è senza alcun dubbio la green economy. Obama, da par suo, ha già fatto sapere che riconfermerà il Wind energy production tax, ovvero gli incentivi fiscali in scadenza, se verrà rieletto, garantendo a più di 70.000 impiegati di mantenere il proprio posto di lavoro, ma soprattutto allo scopo (dice lui) di mantenere la leadership nel settore della green economy e nel campo delle energie pulite, settore che alcuni (detrattori e non) ritengono essere in via di fallimento.

E se da una parte Obama si impegna a rispettare la promessa di investire sulle energie pulite, dall’altra Romney cosa fa? Va contro, impedendo l’estensione degli incentivi fiscali nell’eventualità che venga eletto. Così come ha promesso di rimuovere la riforma sanitaria, la mossa di Romney è da leggersi in chiara chiave economica: lui, abituato ai tempi della Bain Capital ad avere una politica di investimento particolare e capitalistica, avrebbe capito che il settore della green economy non è assolutamente redditizio e, anzi, carica di spese inutili solo i contribuenti statunitensi, che si ritrovano a pagare una tassa solo per mantenere migliaia e migliaia di impiegati saldi in un settore dagli effetti nulli. Verità o menzogna? Dipende: i settori della green economy sono tanti, troppi, molteplici e non possono venire utilizzati solo come una mera facciata per coprire interessi più grandi, che siano economici o di elettorato.

Di certo, però, la proposta di Romney ha fatto a dir poco infuriare Michael Brune, ovvero il direttore esecutivo della più importante associazione ambientalista Usa, Sierra Club: "Tutti avevamo sentito che Romney aveva intenzione di spedire i posti di lavoro americani alle’stero, ma questa è la prova che vuole eliminarli del tutto. Romney sembra più interessato a imbottire i profitti dei grandi inquinatori nonché grandi donatori della sua campagna elettorale, piuttosto che aiutare i lavoratori americani a mantenere le loro occupazioni". "Romney ha inquinatori miliardi che finanziano la sua campagna", ha rincarato. "Non c’è certo da stupirsi che sia schierato con le Big Oil e le Big Coal, voltando le spalle a uno sforzo bipartisan per mantenere decine di migliaia di americani al lavoro nei settori dell’energia eolica, che proteggono la nostra aria, la nostra acqua e la salute delle nostre famiglie".

La green economy è sì un terreno caldo dove si giocherà la sfida tra democratici e repubblicani, ma la vera impressione è che non sarà poi di così vitale importanza. Segno, forse, che la sua rilevanza non è ancora tale da spostare l’ago della bilancia in un evento così importante come le prossime elezioni USA 2012.